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La città più triste del mondo

 

Si trova in uno stato nel centro del Messico. Da Morelia bisogna prendere una corriera vecchia come il mondo la quale percorre qualche decina di chilometri su una strada di terra piena di buchi; ricordi dell’età dei dinosauri oppure segno inconfondibile che lasciano gli anni di pioggia spietata: alcuni sostengono che una tempo questa strada avesse un pavimento, la verità è che non lo sapremo mai. Comunque, c’è da salire sul camión e, se si è fortunati, nel posto accanto (se per caso un posto a sedere lo si è trovato) si piazzerà un tacchino e no un maiale. Dopo due orette di viaggio in cui bisogna sorbirsi più volte una cassetta con la musica più appiccicosa al mondo – quella che piace agli autisti messicani -, si arriverà a Paracho.

In realtà più che una città sarebbe un paesino piccolo che non avrà neanche mille abitanti; uno dei tipici paesi che si trovano sulle montagne. In centro c’è sempre lo stesso parco con lo stesso chiosco dove ogni fine settimana la banda locale suona i pezzi di moda che meglio si possono ballare. Le case sono tutte colorate, un po’ per messicanità, un po’ per spaventare il freddo che cala insieme alla nebbia ogni sera attorno alle cinque. E sempre alle cinque, nelle case più antiche, le persone maggiori si siedono intorno al  tavolo per prendere il caffè con il pane dolce. Da quando zia Conchi è morta, ormai due anni fa, vestono tutti di nero e si parla poco. Nel soggiorno  in fondo, sotto le scale, c’è su un tavolo, accanto a vergini e cristi vari, la sua ultima foto. A quest’ora, l’unica luce in casa è quella delle candele accese.

La domenica i ragazzi scendono in piazza per mangiare mais con maionese e per conquistare le ragazze più belle del paese. I più furbi, quelli che sono andati a lavorare a Morelia e hanno risparmiato un po’ di soldi, riusciranno a sposarsi per primi. Una o due volte all’anno arriva a queste lande addirittura il circo “Ataide”, quello che nell’ultima stagione presentava Tarzan contro il coccodrillo.

Questo paese, però, ha una cosa che lo rende speciale, diverso al resto dei paesi delle montagne del centro. È il paese della chitarra. Infatti una casa su tre è allestita come il negozio di liuteria familiare in cui il nonno o il padre costruiscono le chitarre, i violini ed i contrabbassi con cui suonano i mariachis della zona. Entrando in uno di questi negozi, si è invasi subito questo bellissimo e profondo profumo di cedro e olio bruciato (l’olio si usa per tingere le tastiere in ebano in modo tale da renderle ancora più scure) che si aggrappa a tutte le cose. Ci sono, però, anche dei liutai che fanno delle chitarre diverse, da concerto, della più alta qualità, le quali vengono comprate dai giovani chitarristi classici che da tutto il Messico arrivano a questo posto al meno una volta nella vita in una specie di solenne pellegrinaggio.

Questo è Paracho, il paese della chitarra. Io sono stato una volta e ho giurato non tornare più. Non mi resta un bel ricordo. Ancora adesso se chiudo gli occhi posso rivivere quella tristissima malinconia che mi avvolgeva mentre osservavo il paese camminando verso la stazione. Volevo soltanto andarmene via, essere già sul autobus che mi avrebbe riportato a Morelia. Guardavo la gente, ognuno indossando il suo miglior vestito per la domenica; guardavo le pannocchie scarne buttate per terra; guardavo i manifesti scaduti del circo “Ataide”; guardavo le chitarre senza anima, appese a centinaia dai soffitti dei negozi attorno al parco. Guardavo tutto questo, e tutto questo mi rendeva triste, e tremavo di tristeza.

A Paracho la malinconia si sente nell’aria. È una specie di freddo umido che lecca la pelle, che penetra nel cuore quando cala la nebbia, ogni sera attorno alle cinque.

 

 

 

 

 

14 commenti su “La città più triste del mondo

  1. Soj non ci credo che la prima parte l’hai scritta tu!
    comunque c’è una cosa che non ho capito. Paracho è un posto così triste perché è un tipico paese di montagna del Messico centrale o perché è un tipico paese di montagna del Messico centrale che cerca di essere anche qualcosa di più? O perché è la città delle liuterie? Da dove viene quella malinconia che ti fa sentire il cuore appiccicoso?
    Bellissimo questo post Soj. Ha riaccesso una voce incessante dentro, Messico Messico Messico. Lo so, è irrazionale. Eppure.

  2. Che bello questo post.. complimenti.

  3. l’ultima frase di questo post è valsa il mio perder tempo fra i blog

  4. grazie per esser passato. Il tuo blog è davvero bello, sono belle le cose di cui scrivi…

  5. Io, a Paracho, ci sono stato tre volte, la prima nel 2000, l'ultima questo febbraio; forse abbiamo visto due paesi (pueblos) diversi o forse la tristezza che tu hai provato era dentro di te e non nel pueblo stesso.
    Io mi sono molto divertito, la prima volta come le successive, camminando per le sue viuzze dalle case basse, visitando il mercato coperto e quello di strada, che si tiene il giovedi e la domenica, in mezzo al variopinto popolo degli indios purepecha, parlando con la gente del luogo, entrando in molti talleres de los lauderos (laboratori dei liutai) e stringendo amicizia con alcuni di loro, provando e contrattando le chitarre.
    Anche la storia della strada fangosa e dissestata io non la conosco.
    A Paracho ci si può andare da diversi punti di partenza, ma, tenendo come base Città del Messico, si compera un biglietto da ETN (500 pesos), compagnia che gestisce autobus comodi come un  divano e, per strade nuovissime, dopo circa 5 ore, si arriva alla camionera di Uruapan (dopo essere passati da Morelia, da cui ugualmente si può prendere un autobus di prima classe che ti porta a Uruapan); da qui, o si prende, per pochi pesos (12?), un autobus di seconda classe, comunque dignitoso, pulito e senza animali, che, in un'oretta o poco più, di porta fino a Paracho, oppure si prende un taxi che, in una ventina di minuti, per 100 pesos (6€), ti porta fino al tuo albergo.
    Riassumendo, io ho visto anche tanto altro, ma non quella tristezza che si può tagliare col coltello di cui parli tu.
    G.M.

    P.S. Ho in mente di tornarci tra la fine di luglio e i primi di agosto, per assistere ad una famosa Feria de la guitarra; cercherò di fare più attenzione, per vedere se riesco a scoprire quella tristezza tanto pesante che tu hai provato.

  6. Gentile G.M.: Ti ringrazio del tuo commento, sebbene faccia fatica a capire le tue intenzioni. Non intendo, a mia volta, contraddire quello che tu hai scritto. Dirò soltanto che sono un musicista, Mexicano fra l'altro, e non mi sono recato in Paracho per fotografare la gente del popolo come fai tu, ma per compare – al prezzo richiesto, senza contrattare perché è già ingiustamente basso –  una chitarra da concerto che ancora oggi, 13 anni dopo, conservo e suono ogni tanto, qui in Italia. Non intendo neanche spiegarti quella tristezza che provai, e di cui parli con particolare insistenza nel tuo commento. Sembra quasi che ti dispiaccia che io non condivida la tue opinioni turistiche!
    Da viaggiatore del mondo che sei, mi sarei aspettato un'altra percezione, magari più ampia, del mio umile racconto, che non è altro. Ma sembrerebbe che quella visione delle cose, quel modo di vivere e di raccontare, quella tipica malinconia (di artista, di Messicano?) che impregna il tutto di un particolare profumo, sono cose riservate soltanto a chi sa cogliere.

    Buon viaggio nella mia terra!

  7. Carissimo musicista Mexicano, non c'è niente da capire, a proposito delle mie "intenzioni" , in quanto, nello scrivere il mio commento, non avevo nessun'altra intenzione se non quella di esprimere un mio parere su alcuni punti: non ho trovato la tristezza (a meno che non parliamo di tristezza in senso romantico; ma non mi pare il tuo caso) che tu hai trovato; non ho trovato i pulmann (camiones) antidiluviani di cui tu parli; non ho trovato le strade fangose; abbiamo trovato comodamente posto a sedere, sia io che la mia compagna, accanto a persone con le quali abbiamo chiacchierato per tutto il percorso; non ho trovato i tacchini e i maiali. Sic et simpliciter!
    Ad ogni modo, possiamo anche allargare la conversazione su questi argomenti (anche a me è capitato, in passato, viaggiando il mondo, di avere come compagni di viaggio passeggeri insoliti), ma prima di tutto ti inviterei a rileggerti attentamente il tuo lungo, primo commento; quindi a rileggerti, ugualmente attentamente, il mio primo commento.
    Forse qualche piccola incomprensione c'è stata.
    Fotografare la gente e i luoghi?!
    Lo faccio da anni, senza intenti predatori da colonialista, in quanto sono collaboratore di guide turistiche.
    Provare e contrattare le chitarre?!
    Non sono "musicista", ma amo la chitarra e le chitarre; ne possiedo alcune, da studio e da concerto, anche di liutai di Paracho, con alcuni dei quali ho stabilito rapporti di amicizia.
    Il contrattare è anche una forma di comunicazione e non vuol dire, necessariamente, strozzinare, come mi pare che tu intenda o voglia insinuare, ma conversare sull'argomento, capire il valore dell'oggetto, al di là della sua apparenza materiale, entrare in confidenza con il lutaio, "perdere " un poco di tempo, trattando un oggetto che ami, prima di entrarne, eventualmente, in possesso.
    Altro argomento sul quale sono solo parzialmente d'accordo è il prezzo "ingiustamente basso", secondo il tuo punto di vista.
    Per il livello del costo della vita di quei luoghi, uno strumento del prezzo di 40 000 pesos mexicanos (circa 2500 €uro, nel momento in cui io mi trovavo là), non è quello scandalo che a te pare.
    A Modena, per una somma sui 4000/5000 €uro, potrei comprare una chittarra altrettanto valida di quelle degli ottimi liutai di Paracho.
    Aggiungici la spesa che io affronto, per andare fin là (o il trasporto e le tasse d'importazione, se te la fai spedire) e vedrai che i conti tornano.
    Lo dimostra il fatto che la maggior parte dei liutai di Paracho sono persone assolutamente "benestanti".
    Tanto dovevo per chiarezza e onestà intellettuale.

    Buona permanenza in Italia.

    G.M.

  8. Che dire? Se c'è stata qualche incomprensione, allora chiedo umilmente scusa. Sarei contento di aver capito male! Vedo che te ne intendi di chitarre, da concerto addirittura! Sebbene negli ultimi anni abbia un po’ perso il contatto con i liutai messicani, non ho mai smesso di amare quel suono così caratteristico delle nostre chitarre. Sicuramente in Europa (soprattutto nella liuteria Italiana, Austriaca e Tedesca) ho trovato dei mostri strepitosi, portenti degli ultimi progressi nel campo. Chitarre potentissime, dal suono lungo, oppure, semplicemente un ritorno al suono primordiale, quello di una volta. Ma le chitarre messicane, con quel suono scuro e avvolgente, seppure imperfette rimangono di una rara bellezza assestante. La mia è stata costruita da Granados, quella volta giovanissimo liutaio venuto fuori dalla bottega di Abel Garcìa. Mi dispiace che abbia smesso: erano ottime chitarre per gli studenti che per pochi soldi potevano permettersi qualcosa di veramente buono. L’ho data un prestito poco tempo fa al mio miglior studente, il quale, meravigliato dal suono mi ha chiesto quanto l’avevo pagata. È rimasto a bocca aperta: Quando mi recai a Paracho, nel 1997, per ordinarla, pagai la modesta cifra di 4000 pesos (230 euro adesso). La chitarra con cui ora faccio i concerti, una Holzgruber del 2002, supera i 5000 euro. È ottima per le sale da concerti, soprattutto in ambito cameristico, e mi trovo bene. Ma ogni tanto, mi prendo ancora la vecchia Granados e la suono per un po’ di tempo, senza impegno, così, per ricordare i bei tempi in Messico. J

  9. Che dire? Se c'è stata qualche incomprensione, allora chiedo umilmente scusa. Sarei contento di aver capito male! Vedo che te ne intendi di chitarre, da concerto addirittura!
    (Da concerto ne posseggo due: una di un famoso liutaio italiano e una messicana. Forse meno ossessivamente perfetta, come fattura, ma dal fascino e dalla voce inebriante.
    No, non sono un intenditore, ma mi sforzo di capirci qualcosa. Provo anche, in forma dilettantesca e autodidatta, di far esprimere qualcosa, qualche nota, allo strumento che, di tanto in tanto, quando trovo il tempo, prendo tra le mie braccia, come se fosse la mia fidanzata.)

    Sebbene negli ultimi anni abbia un po’ perso il contatto con i liutai messicani, non ho mai smesso di amare quel suono così caratteristico delle nostre chitarre. Sicuramente in Europa (soprattutto nella liuteria Italiana, Austriaca e Tedesca) ho trovato dei mostri strepitosi, portenti degli ultimi progressi nel campo. Chitarre potentissime, dal suono lungo, oppure, semplicemente un ritorno al suono primordiale, quello di una volta.
    (Adesso anche quelle di Paracho sono altrettanto potenti, dal suono lungo, che non finisce mai; oppure, come tu dici, dal suono primordiale, come quelle di una volta.)

    Ma le chitarre messicane, con quel suono scuro e avvolgente, seppure imperfette rimangono di una rara bellezza assestante. La mia è stata costruita da Granados, quella volta giovanissimo liutaio venuto fuori dalla bottega di Abel Garcìa.
    (Ho conosciuto José Luis Granados, col quale sono in trattativa, per comprarne una, con "tapa oblicua", del valore di circa 30 000 pesos, ma forse non è lo stesso Granados della tua; infatti, nel mio caso, si tratta di una dinastia di liutai, che fabbrica chitarre da cento anni, non di un solo individuo giovane.)

    Mi dispiace che abbia smesso (Smesso chi? Smesso cosa?): erano ottime chitarre per gli studenti che per pochi soldi potevano permettersi qualcosa di veramente buono. L’ho data in prestito poco tempo fa al mio miglior studente, il quale, meravigliato dal suono mi ha chiesto quanto l’avevo pagata. È rimasto a bocca aperta: Quando mi recai a Paracho, nel 1997, per ordinarla, pagai la modesta cifra di 4000 pesos (230 euro adesso). La chitarra con cui ora faccio i concerti, una Holzgruber del 2002, supera i 5000 euro. È ottima per le sale da concerti, soprattutto in ambito cameristico, e mi trovo bene.
    (Se non è un disturbo, fammi sapere qualcosa sulla tua attività, sui tuoi concerti. Mi piacerebbe, un giorno, farti provare la mia, parachese, a confronto con le più snob chitarre europee.)

    Ma ogni tanto, mi prendo ancora la vecchia Granados e la suono per un po’ di tempo, senza impegno, così, per ricordare i bei tempi in Messico. J
    (Ma perché, nel primo commento, del lontano 2005, parli così male del Messico? Era solo una metafora poetica?)
    G.M.

  10. Parlare male del Messico io? Sono sconcertato! Ho paura che tu abbia letto in chiave sbagliata il mio raccontino ma, in effetti, leggendo soltanto questo scritto capisco che il suo senso possa essere completamente stravolto. Forse una visita più estesa a questa tu casa ti farebbe capire meglio i miei pensieri (Ho dedicato uno specifico tag: mexicoextraño).
    Io amo profondamente il Messico, terra dove ho vissuto i miei primi 21 anni di vita. Abbandonarlo mi ha sinceramente spezzato il cuore, ma avevo dei sogni da inseguire così forti da non poter essere ignorati. Un po’ per nostalgia di casa ho aperto questo blog in cui ho voluto sfogare delle cose che mi premevano forte e che non sarei riuscito a raccontare altrove, neanche con la Musica. E così eccomi a narrare le mie memorie, certamente in chiave romantica e con abbondante uso di licenze poetiche (perfino quella dell’esagerazione, come potrai costatare se leggi ancora).
    Io sono nato in uno degli stati più poveri del Sud del Messico, e forse quello più lontano, ideologicamente, dal centro. La mia terra però è calda, e andare sempre nella montagna e nel fresco mi lasciò un po’ di malinconia. La città più triste del mondo non è certamente una recensione per la lonely planet, ma piuttosto un pretesto per esternare uno stato d’animo provocato da quella realtà. Nel raccontare il curioso e il divertente ma anche la povertà e l’abbandono non c’è nessun animo di critica. Amo il Messico così come è, e forse meglio di prima, con gli occhi di uno che è partito, e che riesce ora ad apprezzarlo meglio, anche nel suo lato buio. Non c’è niente ora che mi renda più felice di salire nel tipico camiòn guajoletero con la musica ranchera a tutto volume’ e ancora adesso entrare in quelle case antiche dai muri grossi e alti mi ispira la stessa sensazione di rispetto e gravità che provavo da bambino. Comunque sia ti ringrazio di aver voluto difendere Paracho dalle mie parole, e spero sia stato chiarito il malinteso!

  11. Sei chiapaneco? (E' giusto l'aggettivo?)
    Ho visto la tua serie di foto, molto belle, di San Cristobal e dintorni.
    Conosco quasi tutti quei luoghi (e quelle genti) perché, tra il 1996 e il 1998, io e la mia compagna, abbiamo girato, in lungo e in largo, quasi tutto il Messico, da Cancun a Tapachula a Tijuana …..ecc., compresi innumerevoli pueblecitos, di cui non ricordo più nemmeno il nome, se qualcuno no me li nomina; per mesi abbiamo lavorato assieme ad una Guida Turistica, che uscì nel 1998.
    Sono stato poi in seguito, varie volte, "sul luogo del delitto", perché il Messico, nel bene e nel male, non lo puoi più dimenticare.
    Io ho quasi smesso di fotografare, ma continua a farlo la mia compagna, con uno stile tutto suo, non formale, non conformista.
    Se hai tempo e voglia puoi dare un'occhiata; niente di speciale, solo un taccuino di viaggio.
    Buoni concerti
    G.M.

    http://messicoedintorni.blogspot.com/

  12. Ti avevo scritto un post il 25 marzo, ma non ho più visto alcun commento tuo.
    Mi interessava molto corrispondedere con te, per il motivo di un amore che entrambi abbiamo per il Messico e per la chitarra, anche se di natura diversa.

    Se puoi rispondermi solo due parole, gradirei sapere se la chitarra "Granados", che comprasti a Paracho nel 1997, era di Alejandro Granados Cacari.
    Moltisisme grazie e molti auguri di buona permanenza in Italia.

    G.M.

  13. Ciao G.M.! Scusami tanto per il ritardo nella risposta! è un periodo "interessante" nella mia vita e mi ero un po' allontanato. Ora sto tornando! 

  14. Complimenti e che ….."La festa continui"!

    Anch'io, in questo momento, sono abbastanza"preso": dalla stanchezza del viaggio, dallo scombussolamento del fuso orario, non ancora smaltito, e dall'impegno nel rilanciare il Blog, con alcune delle tante immagini che ho scattato durante i nove giorni intensi e convulsi della Feria.
    Ho anche fatto acquisti: una Castillo classica, in palissandro brasiliano e abete europeo, oltre alla Millennium, che puoi vedere nel Blog.
    L'avevo acquistata prima del concorso, poi Alejandro Granados mi ha chiesto, molto gentilmente, di prestargliela per il concorso; ne valeva la pena, visto il risultato.
    Se un giorno capitassi a Bologna, sarei contento di fartele provare, assieme ad altre due e alla Frignanella.

    Que tengas suerte, de por vida.

    G.M.

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